Non fare oggi quello che puoi fare domani. Eh sì, perché questi non sono i giorni migliori per prendere delle decisioni, soprattutto se da queste possono derivare effetti a lungo termine. Già in precedenza avevo espresso alcune non proprio ottimistiche previsioni sul futuro legate al Covid 19. Oggi vorrei affrontare un tema che mi sembra importante: la difficoltà, e a volte i rischi, di prendere decisioni in piena pandemia.
È inutile far riferimento a illustri psicologi, la realtà è che noi siamo i primi a conoscere molto bene quello che stiamo vivendo: la minaccia percepita sulla salute e sul nostro livello di vita, l’incertezza del domani e soprattutto la avvertita mancanza di controllo sulle nostre vite che sembrano in balìa degli eventi.
Tutte queste percezioni e, ancor di più, il nostro modo di viverle e la nostra capacità di resilienza, stanno profondamente modificando il nostro modo di elaborare le informazioni che arrivano dal mondo esterno e dall’interno, soprattutto le idee i pensieri e le emozioni. Questo è un punto estremamente importante dato che, nell’equazione stimolo/risposta, un punto fondamentale è rappresentato dalla nostra personale valutazione di quello che ci succede. Come confermato dalle più recenti ricerche delle neuroscienze, la Realtà viene filtrata con il colore delle lenti con attraverso cui la vediamo. Dunque, la stessa realtà che per uno può essere drammatica per un altro può essere banale.
Inoltre, stanno cambiando anche le nostre precedenti priorità: sarebbe sufficiente citare il riscaldamento globale e il problema dei migranti, problematiche che sembrano uscite dal radar non solo della politica ma anche dai discorsi di tutti i giorni. In questo panorama e nonostante le nostre resistenze, è tuttavia inevitabile dover prendere delle decisioni che proprio la pandemia ci costringe a fare; ma dobbiamo sapere che resteremo sempre con il dubbio di aver fatto la scelta migliore. Il dubbio è strettamente legato a quanto si diceva prima: l’incertezza, la mancanza di controllo sulle nostre vite e l’ansia. Questi ultimi due aspetti possono portare a prendere rapidamente delle decisioni, quali che siano, quasi per affermare di essere in controllo. Ugualmente la paura ci spinge a “muoversi”, anche quando sarebbe più saggio restare fermi. È un meccanismo ben conosciuto anche in altri ambiti. È stato ad esempio più volte riferito di diportisti che abbandonano una barca in difficoltà per il maltempo anche se perfettamente galleggiante e senza rischio di affondare; quasi che l’allontanarci dal natante fosse una risposta razionale alla paura, farci pensare di avere il controllo della situazione. Dunque prendiamo decisioni che servono a ridurre la paura a breve termine ma che, nel tempo, possono creare più problemi di quanti ne risolvano. Tuttavia mantenere la calma e pensare razionalmente è più difficile dato che navighiamo, come visto, in un mare di emozioni. Inoltre la continua esposizione alle notizie spesso altalenanti riguardo alla pandemia, non fa che aumentare la percezione di incertezza: la mattina sappiamo che nella notte è venuto a mancare un nostro amico e dopo poche ore “sappiamo” che il vaccino è alle porte. In questo scenario di incertezza e di quella che è stata definita “volatilità emozionale”, è normale che il nostro cervello utilizzi i bias cognitivi, vere e proprie scorciatoie per accelerare le decisioni. È un meccanismo ben conosciuto che ci porta ad esempio, a credere più probabile lo scenario su cui abbiamo più dati, oppure che in presenza di due affermazioni totalmente contrarie il nostro cervello creda più significativa l’ultima ascoltata. Tutti viviamo sulla nostra pelle il senso di incertezza e questa percezione ci porta, inevitabilmente, a cercare più informazioni; anche se l’eccesso di dati e informazioni rende paradossalmente a volte più difficile per la nostra mente elaborarle. Spesso la montagna di dati non fa che peggiorare la capacità di analisi, di dare il giusto valore al singolo dato e, soprattutto, di avere una visione ampia e prospettica del problema che vogliamo affrontare. In sostanza ci perdiamo nel mare delle informazioni.
Il nostro cervello è programmato per dare una grande importanza alle minacce fisiche che l’evoluzione ha allargato a comprendere anche quelle psicologiche. Di fronte alla percezione di una minaccia si attiveranno una serie di meccanismi tesi ad annullarla. Meccanismi che agiscono in tempi brevissimi e in assenza di dati certi farà ricorso alla memoria emotiva cercando la somiglianza con precedenti episodi di minaccia, anche molto diversi e soprattutto alle scorciatoie di cui abbiamo parlato prima. Il rischio, dunque, è quello di abbandonare la barca, tornando alla metafora precedente, anche se perfettamente galleggiante e di salire su una scialuppa di salvataggio che è la soluzione apparentemente più ovvia, ma anche più rischiosa. Che fare dunque? Una prima mossa può essere quella di analizzare la tendenza ad agire e, soprattutto, l’emozione che ne sta alla base. Ad esempio, c’è la paura? Paura di cosa? Quali sono i corrispondenti somatici, dove la sento? Come agisce e quali sono le sue conseguenze a livello mentale? Quanto la paura è fondata? Tutto questo permetterà in primo luogo di abbassare il suo livello di attivazione, in sostanza la sentiamo meno, e la tendenza ad agire e di avere una prospettiva di visione più ampia e con minore tendenza a mettere in atto delle soluzioni apparentemente razionali ma, in effetti, tese solo a ridurre l’ansia. Una seconda mossa può essere quella guardare l’intero scenario e valutare se quello che sta succedendo ha cambiato e in che misura la nostra situazione. Una terza è quella di attendere per un quadro più chiaro, se non c’è urgenza di prendere decisioni, dato che la fretta rischia di provocare problemi più grandi di quelli che vogliamo risolvere.
In fondo aveva ragione la canzone di Fred Buongusto: “aspetta domani a dirgli di si, aspetta domani a dirmi di no” … e questa è per anziani.