Visione di Kabat-Zinn
Jon Kabat-Zinn dà della Mindfulness la seguente definizione: Consapevolezza ottenuta prestando attenzione allo svolgersi dell’esperienza con intenzione, nel presente qui e ora, momento per momento e in modo equanime.
Consapevolezza: E’ il vivere l’esperienza del momento qualunque essa sia in modo profondo. Per esperienza intendiamo qualunque azione, pensiero, suono, sensazione corporea ed emozione ci arrivi dal mondo esterno e interno. Per usare le parole di un maestro zen:
“Quando cammini, cammina e basta
Lascia che il camminare cammini
Lascia che il parlare parli
Lascia che il mangiare mangi
Lascia che il dormire dorma”
Prestando attenzione …… all’esperienza: L’essere umano ha una grande abilità nel ricordare il passato, trasportando l’esperienza acquisita nel futuro. Tale capacità è alla base delle strategie di “problem solving”, ossia trovare soluzioni per nuovi scenari, progettare il futuro e così via. Questo è quello che fa continuamente la nostra mente, passare dal passato al futuro, dall’esperienza al progetto, dal rimpianto alla speranza, etc. Quest’abilità è molto utile nella vita di tutti i giorni, dato che ci permette nella stragrande maggioranza della giornata di “viaggiare con il pilota automatico”. Vedremo nella sezione Mindfulness e Psicoterapia come questa abilità sia però purtroppo alla base del disagio psicologico. Per usare un termine di moda, la nostra mente è “multitasking”: possiamo fare una cosa e pensare ad altro, guardare il giornale e sentire musica, mangiare e guardare la televisione, etc. Questa facoltà ha però un limite: “ci perdiamo” l’esperienza del momento. Ad esempio, arriviamo al lavoro in macchina ma non siamo in grado di ricordare se abbiamo trovato dei semafori rossi o se qualcuno si è avvicinato al nostro finestrino o ancora se abbiamo fatto attraversare la strada ad un pedone. Un altro esempio: siamo al mare davanti ad un bellissimo tramonto, seduti sulla sabbia, vediamo il sole che lentamente scompare all’orizzonte cominciamo a pensare: “Che bel tramonto! Anche se quello dell’anno scorso visto con Giovanna era più bello. Ma adesso che ricordo c’erano anche Mario e Paola; chissà che fine avranno fatto. E’ un sacco di tempo che non li sento. Domani li chiamo”. Nel frattempo il sole è tramontato, si è fatta quasi notte e l’esperienza del tramonto è andata persa.
Per esperienza intendiamo, come abbiamo visto, qualunque aspetto della vita: pensiero, suono, sensazione corporea ed emozione ci veda coinvolti nel mondo esterno e interno. Non solo ma qualunque cosa stiamo facendo in quel particolare momento: mangiare un piatto di spaghetti o un gelato, bere un caffè, respirare, camminare, etc. La modalità del “pilota automatico” è utile ma comporta inevitabilmente, come abbiamo visto, la perdita dell’esperienza del momento. Proprio perché automatica, questa maniera di funzionare domina la nostra mente, che inconsapevolmente, si trasforma spesso in un continuo chiacchiericcio. È quello che gli orientali chiamano “mente scimmia”, la mente che continuamente salta di palo in frasca, da una sensazione ad un’altra senza soffermarsi per viverla completamente. Questo “rumore di fondo” è lo stesso che ci porta, a mettere in atto delle risposte automatiche spesso retaggio di esperienze molto antiche talvolta addirittura dell’infanzia. Le stesse possono essere disfunzionali rispetto al momento, di conseguenza anche responsabili della nostra sofferenza psicologica e fisica, come diremo più avanti. Portare la consapevolezza nella nostra vita vuol dire renderci conto degli automatismi della risposta che mettiamo in atto. Non a caso Kabat-Zinn parla di avventura di autoscoperta e autoguarigione.
Con intenzione: Sebbene tutti noi viviamo dei momenti di consapevolezza, a volte anche solo per un attimo, è indubbio che questo avvenga per caso e di solito davanti a manifestazioni della natura: un tramonto, il camminare in un bosco, etc. Il termine con intenzione indica, viceversa un impegno che richiede disciplina e metodo. La pratica di cui parleremo più avanti, porta la nostra mente lontano dal “pilota automatico” rendendo evidente come la mente divaghi ma soprattutto come funzioni nel momento in cui ci allontaniamo dal qui e ora. Sarà possibile vedere più chiaramente le nostre reattività, trovando uno “spazio” in cui operare scelte consapevoli che meglio possano rispondere a quello che avviene dentro e fuori di noi e nel mondo esterno.
In modo equanime: La nostra mente verifica quello che stiamo vivendo secondo categorie piuttosto rigide: piacevole, spiacevole, neutro e applica a ogni fatto una di queste etichette. Ovviamente se piacevole dirà “ne voglio di più” oppure “non voglio perderlo”; se spiacevole “via da qui” o “non lo voglio”. Ovviamente il volerne di più o non volerne per niente, è evidentemente un processo che non ha mai fine: tenderò a spostare l’asticella sempre più in alto o sempre più in basso secondo i casi, a seconda che una cosa sia piacevole e desiderabile oppure negativa e detestabile. Questo meccanismo è quello che gli orientali chiamano il meccanismo avversione e attaccamento, e che secondo questa visione è alla base della sofferenza umana. Consapevolezza non giudicante, vuol dire vedere e prendere i vari accadimenti della vita come qualcosa che va accettato per quello che è senza apporre alcuna etichetta. Per tale motivo sarebbe più corretto il termine di
equanime rispetto a non giudicante dato che in questoi modo di
sottolinea la necessità di porsi in una posizione e in un
atteggiamento che non sia di attaccamento e neppure di avversione. L’atteggiamento non giudicante, sposta la mente da un atteggiamento di continuo giudizio verso più ampie prospettive e verso una diversa modalità di relazionarsi non solo con il mondo ma anche con sè stessi. L’osservazione non giudicante dei contenuti mentali, porta a una maggiore veridicità dell’esperienza. Questo spiega per esempio, perché la Mindfulness si dimostra particolarmente utile nei soggetti depressi o con disturbo d’ansia. Nel momento in cui osservo in modo non giudicante i miei pensieri si crea, una distanza tra questi e la mente. Riesco a vedere i pensieri come “prodotti” della mente, secondo il famoso detto “i miei pensieri non sono me”. Parallelamente, e proprio per questo, sono in grado di avere una visione sul mio modo di funzionamento permettendomi un maggiore controllo sulle mie reattività.
Per terminare questa sezione, ben sintetizza lo spirito profondo della Mindfulness la famosa frase di Kabat-Zinn “viaggio di autosviluppo, autoscoperta, apprendimento e guarigione”.