Stress è probabilmente una delle parole che più ricorrono nelle nostre conversazioni. Stress è il traffico, l’incombenza da affrontare con urgenza, un’improvvisa scadenza lavorativa, la crisi adolescenziale di nostro figlio, le bollette da pagare, la morte di un congiunto, il cambio di casa con relativo trasloco, un colloquio di lavoro….. e la lista potrebbe continuare all’infinito. Va anche detto che normalmente generalizziamo, facendo un po’ di confusione tra lo stress (gli effetti) e lo stressor (la causa).
Ma cosa è, in effetti, lo stress? Dobbiamo a Hans Seyle docente alla Columbia University di New York la sistematizzazione, intorno dagli anni ’40, della teoria dello stress che già Cannon pochi anni prima aveva cominciato ad approfondire. Questa teoria ancor oggi rimane valida, anche se ulteriori contributi hanno aggiunto aspetti particolari; soprattuto recentemente quelli di Poges.
Seyle, mentre conduceva un esperimento per valutare la reazione dell’organismo di topolini cui venivano iniettate sia delle sostanze inerti che un farmaco, si accorse che le reazioni dell’organismo erano le stesse, indipendentemente dalla sostanza iniettata e giunse a quella che chiamò “teoria generale di adattamento”. Vediamo sinteticamente i punti salienti delle scoperte di Seyle
- Identifica nello “stressor” la causa. Lo stressor può evidentemente essere sia interno (uno stato d’ansia, una preoccupazione, etc.) che esterno (parcheggio, lutto, infezione, radiazione, etc.).
- Identifica nello stress la risposta dell’organismo allo stressor.
- La risposta dell’organismo non è specifica nel senso che, quale che sia l’evento, il nostro organismo reagisce sempre allo stesso modo, attivando gli stessi meccanismi cerebrali e ormonali. Infatti, secondo la definizione di Seyle, lo stress è la risposta che mettiamo in atto nel momento in cui siamo sollecitati a dare una risposta ad uno stressor.
- Non è il tipo di stressor a determinare la gravità della risposta ma il modo come lo percepiamo e lo valutiamo. In sostanza è il grado di gravità che attribuiamo alla minaccia rappresentata dallo stress. Facciamo un esempio. Lo stress provocato dall’impossibilità di trovare parcheggio sarà maggiore, evidentemente, se questo fatto m’impedisce di arrivare in orario a un importante colloquio di lavoro; oppure se devo andare a fare shopping. Propone quella che egli stesso ha chiamato “Sindrome Generale da Adattamento”. In sostanza tutti gli animali, uomo compreso, hanno le stesse modalità di reazione ad uno stressor.
Possiamo vedere nel racconto che segue gli elementi tipici di ogni stress.
“Siete una bellissima gazzella che nella savana lentamente sta gustando l’erba dopo la stagione secca. Improvvisamente il grido di un uccello, o un movimento tra l’erba alta attira la vostra attenzione. E poi lo vedete: un leopardo avanza furtivo dirigendosi proprio verso di voi. A questo punto smettete di mangiare, il cuore vi batte all’impazzata, vi sentite i muscoli carichi come molle, la digestione si blocca (meglio che si blocchi piuttosto che terminare nella pancia del predatore…), siete pronti per attaccare o fuggire. La mole del leopardo vi sconsiglia, però, di attaccare e decidete di fuggire. In un attimo vi rendete conto che state correndo e che continuamente cambiate direzione per non dare all’inseguitore nessun punto di riferimento. Sentite il sangue che scorre copioso nei vostri muscoli che rispondono veloci, portandovi lontano dal predatore che, in effetti, vi rendete conto avete lasciato indietro e che vedete fermarsi stizzito. A questo punto cominciate a sentire la stanchezza e volete solo riposarvi andando verso la grande acacia che vedete in lontananza: sembra un buon posto per riprendervi. Alla sua ombra vi sdraiate e, dopo un’ultima occhiata intorno, vi rassicurate e lentamente cadete in un sonno riparatore”.
Nonostante sia piuttosto difficile che in una giornata normale ci troviamo davanti ad un ghepardo, va rilevato che quello che avviene alla gazzella è esattamente quello che succede al nostro organismo. Ognuno di noi, ogni giorno, si trova ad affrontare “il proprio ghepardo”. A volte può essere la mancanza del parcheggio o il traffico, a volte una bronchite con febbre alta, altre volte ancora il rapporto difficile con un superiore. E ogni volta ci troveremo ad affrontare il dilemma “scappo o combatto?”
Ogni stress lascia una cicatrice indelebile e l’organismo paga la sua sopravvivenza diventando ogni volta un po’ piu’ vecchio (H. SELYE 1956)
Nella precedente sezione abbiamo visto per grandi linee cosa è lo stress e la differenza tra stress e stressor. Ora vogliamo esaminare nel dettaglio cosa succede al nostro organismo quando ci troviamo o ci sentiamo “sotto attacco del ghepardo”. Seyle, come abbiamo visto, identifica nella sua teoria della “Sindrome Generale di Adattamento” la risposta di ogni organismo a una situazione di stress, identificando tre momenti principali: fase di allarme, fase di risposta o resistenza e fase di esaurimento/recupero.
Fase di allarme: Questa rappresenta il momento in cui percepiamo un pericolo o, più in generale, una minaccia oppure ancora una situazione che richiede un’azione importante da parte nostra. Può trattarsi del ghepardo per la gazzella come nel racconto precedente, o, più probabilmente nel nostro caso, del rischio di un incidente con la macchina, di un esame all’università, del dolore per la morte di un congiunto, del traffico, di un diverbio con un superiore etc, oppure di … tre ghepardi allo stesso tempo. Come si vede, nel precedente elenco abbiamo inserito una serie di situazioni molto diverse tra loro: da cose banali e apparentemente di poco conto a quelle che normalmente consideriamo vere e proprie tragedie. Questo fatto non è casuale dato che, come abbiamo visto, uno degli aspetti da considerare nello stress è la valutazione che noi stessi diamo allo stressor, quale grado di minaccia vi attribuiamo, quali conseguenze pensiamo possano derivarne: in sostanza proprio la valutazione che diamo della situazione che ci troviamo ad affrontare. E’, infatti, di osservazione comune che quello che può essere molto stressante per una persona per un’altra può non esserlo per niente: una persona può andare nel panico all’idea di parlare in pubblico mentre per un’altra può essere addirittura gratificante e piacevole. Che evidenze scientifiche abbiamo del fatto che la valutazione personale dello stressor incide sullo stress? Come più estesamente vedremo più avanti in questa sezione, lo stress determina un accorciamento dei telomero.
Nella figura di fianco sono indicati in rosso. Lo possiamo immaginare come il cappuccio di una penna che protegge la parte finale e più sensibile e delicata dei nostri cromosomi. Con una buona “protezione” avremo minore incidenza di malattie degenerative, come il cancro e minore invecchiamento delle cellule. Anche recentemente nel 2014, in una ricerca pubblicata sull’importante rivista americana Cancer si è dimostrato che le pazienti affette da neoplasia mammaria che partecipavano ad attività basate sulle Mindfulness non presentavano un accorciamento progressivo del telomero come avveniva nel gruppo di controllo che non vi aveva partecipato. Certamente non sappiamo ancora quale effetto potrà avere nel tempo quest’osservazione in termini di sopravvivenza: è troppo presto per dirlo. Ma il dato è intrigante e sicuramente apre dei territori nuovi di esplorazione e di ricerca.
Ora, osservando il seguente diagramma, possiamo vedere come, a parità di altre condizioni, con l’aumentare dello stress percepito diminuisce la lunghezza del telomero.
Nella frase che abbiamo citato all’inizio di questa sezione, Seyle parla di “cicatrice” e lo scrive nel 1956 quando ancora poco si conosceva del DNA e ancor meno sul telomero. E la cicatrice, come abbiamo visto, è rappresentata proprio dall’accorciamento del telomero.
Questo diagramma dà anche una valenza scientifica alla Mindfulness perché dimostra che una riduzione della percezione dello stress, con essa ottenuta, ha effetti positivi sulla lunghezza del telomero. E’ evidente, infatti, in conformità a questi lavori scientifici, che imparare a percepire meno lo stress determinerà un allungamento del telomero, o almeno, una sua mancata riduzione, con tutti gli evidenti effetti protettivi come meglio e più approfonditamente si dirà in seguito.
Fase di resistenza: Questa è caratterizzata dal mantenimento della risposta. In altre parole, se l’animale ha reagito allo stressor con la fuga, continuerà a scappare. E’ evidente, però, che la durata di questa fase dipenderà dalle risorse disponibili e utilizzabili e, dunque, e che questa fase non può essere mantenuta per un tempo indefinito dato che le risorse fisiche ed energetiche, tenderanno alla fine a esaurirsi. Nel caso in cui la gazzella riesca a “liberarsi dal ghepardo” correndo, essa andrà incontro a una fase in cui sentirà il bisogno di riposarsi e recuperare tutte le energie consumate. Se, invece, con la sua corsa non sarà in grado di liberarsi del predatore finirà per fermarsi e diventare il suo pasto. Trasportando questi concetti all’uomo, possiamo dire che anche noi abbiamo una fase di resistenza limitata nel tempo e che tutti i meccanismi che possiamo mettere in atto prima o poi tenderanno ad esaurirsi nel caso in cui lo stressor o gli stressor continuino ad agire. L’uomo, però, presenta una differenza sostanziale rispetto all’animale: i suoi stressor raramente portano alla morte direttamente, e di solito s’istaurerà una condizione cronica.
Fase dell’esaurimento/recupero: Come abbiamo detto in precedenza, la fase di resistenza sarà inevitabilmente limitata. O l’animale si libererà del cacciatore o diventerà il suo pasto. Nel caso dell’uomo, se non riesce a ridurre l’impatto dello stressor o la valutazione della sua importanza si arriverà inevitabilmente a una condizione cronica con danno a livello dei vari organi e apparati. Nell’uomo, infatti, come vedremo nella pagina sugli effetti dello stress, il perdurare dell’azione dello stressor renderà cronica la risposta legata all’azione delle varie sostanza che il nostro organismo produce in risposta allo stress.
Così la risposta cardiovascolare, inizialmente fisiologica e segno della risposta dell’organismo a una situazione stressante determinerà ipertensione arteriosa e aumento della frequenza cardiaca, l’aumento della tensione muscolare, utile nelle strategie di combattimento e fuga, produrrà mal di testa tensivi, mal di schiena, l’iperattivazione del sistema nervoso tenderà a diventare cronica con un aumento dei disturbi del sonno, e sintomi psicologici come stati d’ansia.
Le persone “eternamente stressate” poi, nel tentativo far fronte allo stressor, finiscono a volte per mettere in atto delle risposte tipiche del mal adattamento: mangiano e lavorano troppo, frequentemente sono iperattive e iperreattive con ciò peggiorando la loro situazione. E’ poi più facile che cadano nel tranello dell’uso di sostanze che, apparentemente, riducono la percezione dello stress com’è il caso degli ansiolitici e degli psicofarmaci e dell’abuso di alcol ma che, col tempo, finiscono per aggravare il quadro generale. La somma di tali comportamenti, abuso di sostanze e stress, può determinare, se protratti nel tempo, altri danni psicofisici con depressione, o perdita della capacità di gestione della propria vita. Nei soggetti predisposti geneticamente sono prevedibili malattie cardiovascolari e alcuni tipi di cancro.
Solo un accenno, peraltro doveroso, alla società in cui viviamo. Senza voler entrare in una critica sociologica, il tipo di vita che conduciamo è evidentemente stressante: siamo eternamente connessi, basterebbe citare il dato di una recente ricerca che ha mostrato come il 60 % delle persone guarda le proprie mail lavorative mentre è in vacanza, lavorativamente parlando siamo immersi in una società molto competitiva in cui non sempre è facile trovare degli spazi personali “gratuiti”, in cui facciamo le cose per il semplice gusto di farle.
Tornando per un attimo al grafico della risposta che abbiamo visto all’inizio, esiste la possibilità, indicata con una linea rossa, di ritornare a una condizione di normalità prima di arrivare a un totale esaurimento delle risorse psicofisiche.
Ci sono persone, infatti, dotati della capacità di interrompere il circolo vizioso che inevitabilmente porta ad uno stress cronico. Sono quelle che per educazione o formazione non si fanno “travolgere dalle situazioni” riuscendo sempre a porre una certa distanza anche psicologica tra lo stressor e se stessi. Sono quelle che, capaci di “leggersi” e di interrogarsi, sono in grado sapere quando è il momento in cui staccare, in cui dedicare del tempo al proprio hobby, in cui trovare delle nuove motivazioni.
Quest’ultimo aspetto ci introduce all’analisi, necessariamente sintetica, delle variabili che modulano la nostra risposta allo stressor. Oltre al carattere e personalità del soggetto sottoposto ad uno stressor va considerata anche:
- Intensità dello stressor: Per intensità dello stimolo intendiamo soprattutto, come abbiamo visto, la valutazione soggettiva dello stressor.
- Durata d’azione dello stressor: Anche la durata rappresenta un aspetto non trascurabile. E’ evidente che se, sul luogo di lavoro, lo scontro con un mio superiore avviene tutti i giorni, ha un impatto diverso se avviene saltuariamente.
Può essere interessante dare uno sguardo “panoramico” al funzionamento del nostro cervello per capire le modalità della nostra risposta alla stress.